La finestra
Sono una finestra.
La finestra a sinistra di un appartamento al secondo piano di un vecchio stabile in via Garibaldi.
Sono il punto d'incontro fra l'intimità dell'interno e la spazialità dell'esterno. Sono il confine fra privato e pubblico, fra anima e corpo, fra etereo e solido. E non sono solo quel che si vede di me. Legno e fasce incrociate e inchiodate. Vernice scrostata dall'umidità salmastra. Sono uno sguardo sul mondo. Sono un occhiello sull'umanità.
Ho visto l'orizzonte tingersi dei colori più commoventi all'alba e al tramonto. E sono stata testimone di drammi interiori mai trapelati all'esterno. Sono diventata una custode silenziosa, discreta, arricchita da ciò che ho visto e sentito, anche se turbata, coinvolta e smarrita.
Toccami. Senti vibrare il mio legno? Ho un'anima anch'io, come tutte le cose, come tutte le persone esistenti al mondo. Eppure, l'essere nata e vissuta sempre in questo pezzo di mondo che sembra dimenticato da Dio e dagli uomini, fa di me qualcosa di più di un semplice oggetto. E anche qualcosa di più di un oggetto con l'anima di cui prima ti parlavo.
Ascoltami ora. Ti racconterò di quella volta in cui riuscii a convincere il vento a schiaffeggiarmi violentemente, impedendo a Martina, una ragazzina che quarant'anni fa aveva solo undici anni, a farla finita scavalcandomi.
La finestra a sinistra di un appartamento al secondo piano di un vecchio stabile in via Garibaldi.
Sono il punto d'incontro fra l'intimità dell'interno e la spazialità dell'esterno. Sono il confine fra privato e pubblico, fra anima e corpo, fra etereo e solido. E non sono solo quel che si vede di me. Legno e fasce incrociate e inchiodate. Vernice scrostata dall'umidità salmastra. Sono uno sguardo sul mondo. Sono un occhiello sull'umanità.
Ho visto l'orizzonte tingersi dei colori più commoventi all'alba e al tramonto. E sono stata testimone di drammi interiori mai trapelati all'esterno. Sono diventata una custode silenziosa, discreta, arricchita da ciò che ho visto e sentito, anche se turbata, coinvolta e smarrita.
Toccami. Senti vibrare il mio legno? Ho un'anima anch'io, come tutte le cose, come tutte le persone esistenti al mondo. Eppure, l'essere nata e vissuta sempre in questo pezzo di mondo che sembra dimenticato da Dio e dagli uomini, fa di me qualcosa di più di un semplice oggetto. E anche qualcosa di più di un oggetto con l'anima di cui prima ti parlavo.
Ascoltami ora. Ti racconterò di quella volta in cui riuscii a convincere il vento a schiaffeggiarmi violentemente, impedendo a Martina, una ragazzina che quarant'anni fa aveva solo undici anni, a farla finita scavalcandomi.
Un diafano risciò
Aveva aperto la finestra per imparare a volare. Lo avrebbe fatto certamente se solo non si fosse fatta attirare da quel diafano risciò, venuto da lontano.
Era giunto dal cielo nero, trasparente come i trasparenti quattro conducenti che lo tiravano decisi.
Ritti come fusi, affondavano i piedi nel vuoto nulla come se fosse duro spazio concreto, condensato.
Si erano fermati sul davanzale della sua finestra aperta. Lei era lì per quel volo. Lo aveva sognato, pensato, voluto. Ora, finalmente sul punto di aprire le ali, aveva visto arrivare quegli strani figuri che non le avevano lasciato altra via se non salire sul loro risciò e andare.
Sostituire un volo con un antico mezzo di locomozione aveva, presto, dimostrato quanta poca fantasia avesse avuto ad accettare.
La finestra che si era lasciata alle spalle, ora, per una strana magia, simile a quelle che si verificano nei sogni, era davanti a sè, in lontananza, in fondo a una vallata rosso fuoco.
Si guardò intorno. Trascolorava tutto.
Incredula, si guardò le mani. Pallide come il colore esangue d'un cadavere.
Solo in qel momento realizzò che stava, piano, assumendo il colore degli alberi alla sua destra, dei figuri che la conducevano innanzi con passo sostenuto.
"Ferma! Ferma! Voglio scendere" - accennò timidamente, col terribile presentimento di essere nel bel mezzo di un incubo.
Sarebbe riuscita a svegliarsi in tempo?
... e li dipinse...
Erano giorni, settimane, forse mesi che si dibatteva fra l'essere nel sogno, libero di poter amare e vivere e sognare senza porsi perchè, nè limiti e l'essere nel mondo quotidianamente, forzato, stretto, chiuso, privo di ogni libertà.
Si sdraiò sulla sua vecchia poltrona e stette, così, senza più pensare, senza più ponderare, soppesare, analizzare. Decise che la sua prossima tela avrebbe fissato per l'eternità le immagini affiorate dall'incoscienza senza sogni.
Non aspettò. Non chiuse gli occhi volontariamente. Stette.
Arrivò da lontano un'unica sensazione. Un bacio sulla bocca. Dolcissimo. Appassionato. Carico di desiderio. Muto eppure concreto.
Non apparteneva ad alcuna figura conosciuta. Non proveniva da immagini di sogno. Non era. Eppure era.
Più nulla intorno.
Non vedeva. Non toccava. Non gustava. I sensi erano come sospesi. Eppure quel bacio era reale. Lo percepiva. Lo sentiva. Lo viveva.
Quando tornò, di fronte a sè una tela lo attendeva. Colori ad olio e pennelli. Ed il ricordo di una promessa fatta a se stesso. Un'ora prima? Un giorno prima? Un mese prima?
Tornava dal senza-tempo e nulla aveva importanza. Sapeva di non poter usare la sua consueta capacità di razionalizzare. Doveva semplicemente agire.
Si alzò dalla vecchia poltrona e incominciò a dipingere.
Ancora una volta si ritrovò a non vedere nulla, a non toccare nulla, a non gustare nulla. Agiva.
La percezione di quel bacio sulla bocca col suo soffio di pura libertà dai sensi, agiva senza volontà. Liberamente.
Quando tornò, sulla tela, i colori che comparivano erano composti in due figure senza volto, unite da un bacio sulla bocca.
Un'altra sigaretta
Portò la sigaretta alle labbra. L’accese. Aspirò, a lungo, consapevolmente. Guardò il fumo uscire dalla bocca a piccoli cerchi bianchi, netti, diventare evanescenti e poi sparire in alto dove non li avrebbe più seguiti.
Sapeva di dover aspettare prima di rivederlo. Quel viaggio aveva costituito un’ennesima occasione per guardarsi dentro e cercare di capire. Ma che cosa c’era da capire in realtà? Nulla se non che lui era sicuramente una costante nella sua vita. Una boa alla quale si era aggrappata pur nella consapevolezza che non sarebbe mai affogata. La boa le dava sicurezza. Certezza che le entrava nelle vene e scorreva dandole una piacevolissima sensazione di familiarità.
Fra un po’ avrebbe sentito la chiave nella serratura girare. La porta si sarebbe aperta. Il suono conosciuto dei suoi passi sarebbe diventato sempre meno lontano. E lei avrebbe aspettato le sue mani sul collo e poi le sue labbra posarsi lievemente sostituendo le dita. Avrebbe chiuso gli occhi per assaporare ogni sensazione più intensamente. Poi, con un impercettibile movimento continuato, avrebbe ruotato il corpo sulla sedia fino ad incontrare con le sue le labbra di lui.
No, non c’era nulla da capire. Solo aspettare. Il suo ritorno sarebbe stato, come sempre, una piacevole sorpresa.
Un’altra sigaretta per aspettare ancora.
L'urlo
Sentiva arrivare da lontano una sorta di domanda che si affacciava alle labbra senza che riuscisse ad articolare una sola parola. La sentiva salire da dove si era localizzata, fra lo stomaco e le costole. Era una sorta di creaturache aveva incominciato a crescere senza che lui potesse nulla per opporsi.
Era una presenza che, da estranea e nemica, aveva incominciato a far parte della sua struttura fisica, ma più ancora di quella mentale.
Più cercava di focalizzare da che cosa avesse avuto origine, quanto sarebbe ancora cresciuta e che cosa gli avrebbe provocato e meno riusciva a trovare risposte.
Quel giorno riuscì ad essere inequivocabilmente lucido. Fu un solo momento. Una frazione di secondo. Capì che se non fosse riuscito a mettere fuori da sè quella sorta di escrescenza estranea che si nutriva dei suoi tessuti, ne sarebbe morto. Era una sorta di cancro la cui forza era alimentata dalla sua PAURA.
Ecco, in quel momento, salì alle labbra una parola, una sola... PAURA...
Aprì la bocca e con uno sforzo sovrumano decise di darle voce.
I muscoli dell'addome si tesero. La volontà si unì alla forza. L'alieno che lo aveva invaso, occupato, radicandosi nei suoi muscoli, nelle vene, nella linfa, fu risucchiato in un vortice incontrollato, una sorta di ciclone proteso verso l'alto.
Un urlo sovrumano, mortalmente terrificante, proiettò la PAURA fuori, lontano, lanciandola nell'etere con una tale forza che mai sarebbe stato possibile rivederla tornare.
Era una presenza che, da estranea e nemica, aveva incominciato a far parte della sua struttura fisica, ma più ancora di quella mentale.
Più cercava di focalizzare da che cosa avesse avuto origine, quanto sarebbe ancora cresciuta e che cosa gli avrebbe provocato e meno riusciva a trovare risposte.
Quel giorno riuscì ad essere inequivocabilmente lucido. Fu un solo momento. Una frazione di secondo. Capì che se non fosse riuscito a mettere fuori da sè quella sorta di escrescenza estranea che si nutriva dei suoi tessuti, ne sarebbe morto. Era una sorta di cancro la cui forza era alimentata dalla sua PAURA.
Ecco, in quel momento, salì alle labbra una parola, una sola... PAURA...
Aprì la bocca e con uno sforzo sovrumano decise di darle voce.
I muscoli dell'addome si tesero. La volontà si unì alla forza. L'alieno che lo aveva invaso, occupato, radicandosi nei suoi muscoli, nelle vene, nella linfa, fu risucchiato in un vortice incontrollato, una sorta di ciclone proteso verso l'alto.
Un urlo sovrumano, mortalmente terrificante, proiettò la PAURA fuori, lontano, lanciandola nell'etere con una tale forza che mai sarebbe stato possibile rivederla tornare.
Oltre i cinque sensi
Aveva avuto sempre la sensazione di essere una persona normale, come tutte quelle che incontrava quotidianamente da quando era bambina. Si alzava ogni mattina e si coricava ogni sera, però, con la strana sensazione di non essere proprio stata la moglie che ogni marito si sarebbe aspettato, la madre che ogni figlio avrebbe voluto, la figlia che ogni madre avrebbe desiderato. Era una sorta di senso di inadeguatezza che, però, non nasceva da lei, ma dagli altri. Da tutti coloro che l'avevano sempre circondata a casa, a scuola, a lavoro.
A volte si era soffermata davanti allo specchio, per capire se l'immagine che vi si rifletteva fosse davvero la sua, la più autentica, quella che corrispondeva alla parte più profonda di sé. Ma non riusciva a riconoscersi se non dagli occhi. Solo occhi tradivano la sua vera essenza.
Era come se quel corpo si fosse, negli anni, adeguato alle metamorfosi che la vita quotidiana aveva richiesto. Gli occhi no. Gli occhi, pur essendo cambiati, diventando meno luminosi, meno belli, meno vivi, avevano mantenuto sempre qualcosa di magico. Costituivano il suo ponte fra l'essere e il dover essere. Erano sempre stati anche capaci di penetrare lo sguardo altrui captando direttamente l'anima di chi era di fronte. Si trattava, forse, di una sorta di magnetismo, inspiegabile razionalmente, capace di scavare ed arrivare là dove difficilmente è possibile giungere senza il consenso cosciente dell'altro.
Che cosa sono mai degli occhi se non un ammasso di tessuti dalla strana consistenza prevalentemente acquea, composti in orrendi bulbi oculari, inseriti mirabilmente dalla natura in caverne ossee e intrecci di tendini e muscoli? Eppure il diffuso pensare che siano anche lo specchio dell'anima sicuramente trae origine da qualcosa di veritiero.
La magia di "quegli" occhi si percepiva come qualcosa di concreto, di diffuso, di reale, di profondo che si concentrava nello sguardo e si espandeva come una sorta di alone energetico che avvolgeva l'intero suo corpo. Nulla di visibile. Eppure se ne poteva quasi toccare l'essenza.
A volte si era soffermata davanti allo specchio, per capire se l'immagine che vi si rifletteva fosse davvero la sua, la più autentica, quella che corrispondeva alla parte più profonda di sé. Ma non riusciva a riconoscersi se non dagli occhi. Solo occhi tradivano la sua vera essenza.
Era come se quel corpo si fosse, negli anni, adeguato alle metamorfosi che la vita quotidiana aveva richiesto. Gli occhi no. Gli occhi, pur essendo cambiati, diventando meno luminosi, meno belli, meno vivi, avevano mantenuto sempre qualcosa di magico. Costituivano il suo ponte fra l'essere e il dover essere. Erano sempre stati anche capaci di penetrare lo sguardo altrui captando direttamente l'anima di chi era di fronte. Si trattava, forse, di una sorta di magnetismo, inspiegabile razionalmente, capace di scavare ed arrivare là dove difficilmente è possibile giungere senza il consenso cosciente dell'altro.
Che cosa sono mai degli occhi se non un ammasso di tessuti dalla strana consistenza prevalentemente acquea, composti in orrendi bulbi oculari, inseriti mirabilmente dalla natura in caverne ossee e intrecci di tendini e muscoli? Eppure il diffuso pensare che siano anche lo specchio dell'anima sicuramente trae origine da qualcosa di veritiero.
La magia di "quegli" occhi si percepiva come qualcosa di concreto, di diffuso, di reale, di profondo che si concentrava nello sguardo e si espandeva come una sorta di alone energetico che avvolgeva l'intero suo corpo. Nulla di visibile. Eppure se ne poteva quasi toccare l'essenza.