A. Ferilli, MISTERO IN CITTA' VECCHIA, Scorpione Ed., 2010
Il mio primo romanzo, pubblicato dalla Scorpione Ed. nel giugno 2010. "La donna del mistero" in copertina è di Ciro Indellicati, amico d'infanzia, trapiantato da quasi trent'anni in provincia di Bergamo, reincontrato casualmente su Faebook e accorso a spendersi per un'amica e per la sua città senza troppe parole e con un risultato che ha dell'incredibile. E' riuscito ad interpretare l'immagine in copertina, prima ancora di leggere il libro, avvalendosi semplicemente di un breve riassunto a telefono e per mail. Di fatto, però, è come se la sua donna del mistero avesse realmente abitato la casa dei miei amici che ispirarono il romanzo. Identica la prospettiva, la vista sul mare, l'atmosfera che aleggia nelle pagine del romanzo.
Senza fretta
Ho bisogno di staccare. Ho bisogno di riflettere. Ho bisogno di camminare. Sono in auto. Senza una meta. Decido che mi fermerò solo quando riuscirò a decifrare un segno che mi indichi che quello sia il posto giusto. Attraverso la città. Ho spento la radio che a volte riesce solo a confondermi. Il silenzio mi aiuta a rasserenarmi. Vorrei che anche i pensieri si fermassero. E invece vanno, come se fossero animati da un moto proprio, seguendo un filo che a volte riesco a riconoscere consequenziale, altre volte no.
Ho appena oltrepassato il ponte girevole. Ho guidato avvalendomi di un automatismo grazie al quale sono incolume senza avere memoria di quel che sia successo da quando sono entrata in auto. Un rapido sguardo in direzione di piazza Castello. Scorgo la possibilità di parcheggiare appena prima della discesa Vasto. Svolto a sinistra. Parcheggio. Scendo. Chiudo. Vado.
Istintivamente m'immetto in via Duomo, ma non è questa la strada che voglio percorrere oggi. Torno indietro. Sulla destra imbocco pendio La Riccia. Quasi di corsa discendo per la scalinata che obbliga a due o tre passi prima di passare al gradino successivo. Raggiungo il mare oltre via Garibaldi. Respiro forte l'aria di mare, l'aria della mia città. Da un paio d'anni sento questo quartiere, l'isola, come la mia città, come se fosse possibile riassumere in essa l'intera città di Taranto. E' stato magico il mio incontro con l'isola. Me ne sono innamorata non appena ho incominciato a conoscerla, a percorrerla, a viverla.
Il sole è ancora alto nel cielo. Ho giusto il tempo di seguire il perimetro esterno fino a raggiungere la “ringhiera” e godermi il tramonto su Mar Grande. Cammino, misurando i passi, cercando di allontanare i pensieri. Voglio fare spazio nella mente per accogliere solo quelli giusti per me, ora. La borsa è appesantita dall'agenda. Non so cosa farò, che cosa penserò, se annoterò qualcosa o se avrò voglia solo di camminare, facendomi scivolare tutto, come se fossi sola al mondo.
Ogni tanto sento l'esigenza di inspirare profondamente e allora risento forte l'odore del mare. Guardo sfilare, sulla destra, i pescherecci ormeggiati. Sembrano prima lontani, irraggiungibili. E poi ancora lontani, oltrepassati. Non voglio arrivare fino a piazza Fontana. La piazza mi piace, la fontana non più. E' diventata orribile da quando è stata abbinata all'arte moderna. Ciò che nasce di un'epoca, a quell'epoca deve appartenere in eterno. Le commistioni di antico e moderno hanno il sapore della falsità, della mistificazione, della giustapposizione forzata che stride con quel che deve essere.
Taglio via Garibaldi attraversandola in diagonale prima che si biforchi e diventi via Cariati all'esterno, a fior di mare. Cerco e trovo un vicoletto stretto. Lo imbocco. Mi porta alla postierla Santi Medici, la più stretta dell'isola. Più angusti sono vichi, vicoli e postierle e più mi piacciono. Mi danno l'idea dei secoli passati, nonostante il puzzo che ne caratterizza alcuni. Non so perché, ma riesco a cogliere qui tutt'intorno, solo la bellezza, ignorando il degrado e talora anche la sporcizia. Amo tutto quel che vedo, come se la mia anima si riconoscesse in ogni angolo. Una memoria genetica inspiegabile.
Quando sbuco sulla ringhiera, dopo aver avuto tutto il tempo di indugiare con calma a scrutare edicole e vecchi ruderi abbandonati, case affollate e antichi palazzi, il sole è tuffato per metà nel mare, all'orizzonte, e il cielo è striato di rosso e arancio. Sto. Guardo. Respiro ancora l'odore di mare che qui ha sfumature diverse, di mare aperto, privo di pescherecci e di pesce, di cozze e di reti.
- Giulia! -
Ignoro la voce che forse chiama me, forse no. Potrei rimanere per ore a guardare, a respirare, ad indugiare, senza pormi problemi di tempo.
Ho appena oltrepassato il ponte girevole. Ho guidato avvalendomi di un automatismo grazie al quale sono incolume senza avere memoria di quel che sia successo da quando sono entrata in auto. Un rapido sguardo in direzione di piazza Castello. Scorgo la possibilità di parcheggiare appena prima della discesa Vasto. Svolto a sinistra. Parcheggio. Scendo. Chiudo. Vado.
Istintivamente m'immetto in via Duomo, ma non è questa la strada che voglio percorrere oggi. Torno indietro. Sulla destra imbocco pendio La Riccia. Quasi di corsa discendo per la scalinata che obbliga a due o tre passi prima di passare al gradino successivo. Raggiungo il mare oltre via Garibaldi. Respiro forte l'aria di mare, l'aria della mia città. Da un paio d'anni sento questo quartiere, l'isola, come la mia città, come se fosse possibile riassumere in essa l'intera città di Taranto. E' stato magico il mio incontro con l'isola. Me ne sono innamorata non appena ho incominciato a conoscerla, a percorrerla, a viverla.
Il sole è ancora alto nel cielo. Ho giusto il tempo di seguire il perimetro esterno fino a raggiungere la “ringhiera” e godermi il tramonto su Mar Grande. Cammino, misurando i passi, cercando di allontanare i pensieri. Voglio fare spazio nella mente per accogliere solo quelli giusti per me, ora. La borsa è appesantita dall'agenda. Non so cosa farò, che cosa penserò, se annoterò qualcosa o se avrò voglia solo di camminare, facendomi scivolare tutto, come se fossi sola al mondo.
Ogni tanto sento l'esigenza di inspirare profondamente e allora risento forte l'odore del mare. Guardo sfilare, sulla destra, i pescherecci ormeggiati. Sembrano prima lontani, irraggiungibili. E poi ancora lontani, oltrepassati. Non voglio arrivare fino a piazza Fontana. La piazza mi piace, la fontana non più. E' diventata orribile da quando è stata abbinata all'arte moderna. Ciò che nasce di un'epoca, a quell'epoca deve appartenere in eterno. Le commistioni di antico e moderno hanno il sapore della falsità, della mistificazione, della giustapposizione forzata che stride con quel che deve essere.
Taglio via Garibaldi attraversandola in diagonale prima che si biforchi e diventi via Cariati all'esterno, a fior di mare. Cerco e trovo un vicoletto stretto. Lo imbocco. Mi porta alla postierla Santi Medici, la più stretta dell'isola. Più angusti sono vichi, vicoli e postierle e più mi piacciono. Mi danno l'idea dei secoli passati, nonostante il puzzo che ne caratterizza alcuni. Non so perché, ma riesco a cogliere qui tutt'intorno, solo la bellezza, ignorando il degrado e talora anche la sporcizia. Amo tutto quel che vedo, come se la mia anima si riconoscesse in ogni angolo. Una memoria genetica inspiegabile.
Quando sbuco sulla ringhiera, dopo aver avuto tutto il tempo di indugiare con calma a scrutare edicole e vecchi ruderi abbandonati, case affollate e antichi palazzi, il sole è tuffato per metà nel mare, all'orizzonte, e il cielo è striato di rosso e arancio. Sto. Guardo. Respiro ancora l'odore di mare che qui ha sfumature diverse, di mare aperto, privo di pescherecci e di pesce, di cozze e di reti.
- Giulia! -
Ignoro la voce che forse chiama me, forse no. Potrei rimanere per ore a guardare, a respirare, ad indugiare, senza pormi problemi di tempo.
Lenta, con passi lenti, con incedere che ricorda una scena girata volutamente a rallentatore, compare dal nulla una figura eterea, vestita di giallo paglierino, con morbidi riccioli tirati al di sopra della nuca, il viso pallido truccato sulle gote, orecchini che ondeggiano. Le mani sorreggono il vestito lasciando intravedere appena, calzature che abbracciano le caviglie esili. Avanza decisa, con movimenti che ricordano l’immettere ed emettere aria nei polmoni, simulando un respiro profondo, lento, consapevole. Quello che sarebbe stato nella realtà un battito di ciglia, diventa un tempo interminabile. La figura eterea avanza con la potenza di un’energia che s'impossessa dello spazio oltre il tempo. Raggiunge il punto della stanza in cui un raggio di sole la illumina fino a renderla pura luce.
Quel cancello è una sorta di stargate, un passaggio segreto in un'altra dimensione in cui il salto dal ventunesimo secolo ad epoche antiche stratificate nei muri ha il sapore di un'avventura. Strano che Taranto nasconda un posto così.
La realtà quotidiana si frammenta allontanandosi. E quel che qui avviene è una sorta di penetrazione progressiva in una dimensione in cui è possibile immaginare e vivere qualunque epoca. Non è solo immaginazione, ma un viaggio dell'anima che sperimenta il ricordo del già vissuto in altre epoche, in altre situazioni.
Quelle pareti si limitano a costituire i confini di uno spazio in cui si riesce ad andare oltre lo spazio-tempo, nel “possibile”, dove i pensieri, i sogni, il vissuto, il reale, il passato, il presente, si fondono dando vita ad una storia trascritta come un romanzo.
Il romanzo era comparso per la prima volta in una pubblicazione a cura del Centro Culturale Filonide di Taranto nel dicembre 2008, con il titolo IL MISTERO DELLA MARCHESA, che comprendeva, oltre il romanzo, delle trascrizioni notarili del '700 e dell'800, una relazione archeologica e una geologica. Autori delle parti scientifiche, nell'ordine: Cosima Chirico, Silvia De Vitis, Giuseppe Mastronuzzi. Ideatore ed esecutore dell'intero progetto editoriale, Marcello Bellacicco.